Giornata dell’Africa, meta poco ambita dall’emigrazione italiana!

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L’Italia ha da sempre mostrato, in particolare dall’Unità d’Italia in poi, una propensione all’internazionalizzazione. Prima di ogni altra, la fonte inesauribile di questa peculiarità è l’emigrazione dei molti suoi figli verso lidi lontani, che ancora oggi ci pone tra le prime nazioni al mondo, con più di 5.500.00 residenti estero.

A guardare, però, l’attuale distribuzione delle comunità italiane nel mondo si rimane colpiti dal fatto che queste non amano particolarmente il Continente Africano, almeno tanto quanto le altre aree del mondo.

I dati più aggiornati della Fondazione Migrantes citano, infatti, che solo lo 0.7% (pari a 34.500 persone) degli emigrati italiani ha scelto il Sud Africa quale paese di residenza e, a voler essere magnanimi, in tutto il continente Africano detta presenza si attesta sulle 50.000 unità.

IL RETAGGIO DEL COLONIALISMO
Inoltre, ampliando alla presenza di altre comunità estere nelle varie nazioni africane, purtroppo si constata che l’Africa intera è ben poco amata anche dal resto del mondo.

Le ragioni di questo evidente disamore generalizzato per l’Africa, in prima approssimazione trova riscontro nel forte retaggio colonialista di altre nazioni occidentali. Nella pratica, pero’, solo in minima parte questa supposizione viene confermat; in particolare per la Francia per la quale permangono esigenze di “cooperazione militare” (di retaggio coloniale?) in molte nazioni del Sahel.

Mentre ben altre ragioni emergono sempre più e mettono ben in evidenza agli occhi del migrante, che l’Africa ancora oggi non è, ne puo’ essere considerata terra d’avventura o, comunque, di sicuro qualsivoglia sviluppo culturale, o sociale, o economico.

I GRAVI PROBLEMI DELL’AFRICA
I grandi e gravi problemi che ancora affliggono il continente africano, come la diffusissima povertà, l’esclusione sociale (in particolare la difficile condizione delle donne) e la delinquenza (in particolare quella giovanile), accompagnate da una urbanizzazione scellerata e la mancanza di serie politiche sociali, rendono la stragrande maggioranza delle nazioni africane poco appetibili agli occhi dei flussi migratori mondiali.

Il solo aumento demografico registrato nell’intero continente negli ultimo 70 anni è impressionante: dai 200 Milioni di popolazione degli anni ’50, l’Africa è passata a più di 1 Miliardo e 300 Milioni (1.300.000.000) di persone dei giorni d’oggi. Inoltre, ha subito un ringiovanimento massivo con più del 50% di età inferiore ai 20 anni.

Gli studi di Migrantes, inoltre, indicano una stima superiore ai 2,5 Miliardi (2.500.000.000) di cittadini nel 2050.

A questa realtà va ggiunta la “cultura politica” di fondo che si è venuta genericamente a creare in tutto il continente a partire dal dopo fine “guerra fredda”, che, non avendo più riferimenti di reale contrapposizione politica, hanno trovato nel “migrante” (l’Africa conta circa 20 Milioni – pari al 7.5% mondiale- di flussi migratori interni) il capro espiatorio, aizzando nei confronti dei migranti un sentimento di ostilità difficilmente altrimenti sentito.

L’IMMIGRAZIONE INTERNA
Il problema di fondo è che in tutti questi contesti socio-politici, al “migrante”, oltre tutto, vengono addebitate le principali responsabilità su questioni che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica come la disoccupazione, la criminalità e la violenza.

Di tutto questo ne ha portato ampia testimonianza l’UNHCR (Alto Commisario per i Rifugiati Dr. Filippo Grandi), con la Libia ultimo eclatante caso. l’UNHCR ha registrato nel 2019 nei locali campi profughi in Libia 55.008 richiedenti asilo e rifugiati.

Come noto, purtroppo, visto il peggioramento delle condizioni di sicurezza causato dal conflitto interno in Libia, l’UNHCR ha dovuto abbandonare d’urgenza qualsiasi postazione del posto, lasciando alla mercè dei trafficanti l’intero substrato rifugiati/migrati che era riuscito a catalogare negli anni precedenti.

I SEGNALI DI EMANCIPAZIONE
Fortunatamente il Continente Africano, oltre ai risvolti inumani sopramenzionati, mostra segnali di emancipazione, anche se differenziati tra le singole Nazioni, sia per la politica che nel settore economico-sociale.

La crescita delle classi medie in Africa, insieme alla spinta a rafforzare le organizzazioni regionali, sono i due fattori più importanti su cui il continente punta oggi per sviluppare la sua integrazione “interna”. Una indubbia priorità strategica per l’Unione Africana (U.A.) è stata data, infatti, ai legami economici che si dovranno coniugare con più stretti legami politici, perchè l’Unione ritiene che questi rapporti rappresentano una condizione necessaria per promuovere un futuro di pace e sviluppo nell’intero continente.

Soprattutto il fatto che ancora oggi, a meno del Sud Africa e di pochi altri stati linitrofi, la maggior parte delle nazioni africane manifestano economie non sviluppate e ancora molto piccole, non in grado quindi di sfruttare economie di scala, per l’U.A.  significa quindi insistere su politiche economiche coniugate e comuni, al fine di integrarsi maggiormente.

RISORSE PETROLIFERE E MINERARIE
L’aumento della popolazione più volte enfatizzata, senza un adeguato sviluppo economico-culturale, ha portato principalmente l’intero continente a carenza di risorse, crisi alimentare, scarsità di idoneo sistema di istruzione ed di assistenza medico-sanitaria.

Lo sviluppo economico del continente africano è stato trainato essenzialmente (purtroppo!) dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e minerarie e dai rapporti commerciali con i principali acquirenti di questi beni a livello globale.

Nella storia pregressa balza alla mente l’intervento fatto da alcune nazioni occidentali, tra cui l’Italia con ENI, in Nigeria. Trasformando nel giro di pochi anni una nazione a propensione agreste-marittima, in un popolo di montanari rupestri sensa futuro. Anche se la politica occidentale successiva ando’ a correggersi in particolare nel sociale, molte degenerazioni provocate nel sistema sono evidenti ancor più oggi, e Lagos, come detto, ne è la riprova più evidente.

I PARTNER DELL’UNIONE AFRICANA
I tradizionali partners per l’U.A. sono stati Usa, Francia, Olanda e, ovviamente U.E. a partire dall’accordo di Cotonou (giugno 2000, purtroppo ancora oggi sotto “osservazione del parlamento UE a causa della mancanza di una clausola esplicita sulla “non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale” emersa nel 2013).

Il Parlamento Europeo comunque ha instaurato, attarverso il Fondo Europeo di Sviluppo, il canale principale della cooperazione allo sviluppo per l’UE in Africa tuttora operativo, in particolare per il settore agrario-pesca.

Quasi contemporaneamente nel 2000, con la nascita del Forum per la cooperazione Cina-Africa (FOCAC) la Cina si è inserita a pieno titolo, ma molto silenziosamente, in molte settori della cooperazione della stragrande maggioranza delle nazioni africane.

RUOLO CRESCENTE DELLA CINA IN AFRICA
Pechino è diventato ormai da anni il primo partner commerciale ed uno dei maggiori finanziatori di progetti infrastrutturali del continente africano. Gli investimenti cinesi pubblici e privati per decine di miliardi di dollari sono confluiti nei settori più diversi, da quello minerario a quello dei servizi, contribuendo ai notevoli incrementi del PIL di diversi paesi.

Tra Occidente e la Cina è emersa una differente impostazione del partenariato. Se gli investitori occidentali, infatti, hanno quasi sempre subordinato gli aiuti e la cooperazione con l’Africa al rispetto di determinate condizioni (vedi l’eccezione de parlamento UE del 2013!), i cinesi hanno optato per la non ingerenza negli affari interni dei propri partner.

Sulla base di questo principio, al vertice 2018 del Forum sulla cooperazione Cina-Africa, tenutosi a Pechino, la Cina ha proposto una sorta di unione tra la propria iniziativa: “One Belt One Road”, l’Agenda 2023 dell’Unione Africana, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 delle Nazioni Unite e i piani di sviluppo dei Paesi Africani.

Questa è la chiave di lettura per comprendere la conquista politica ed economica della Cina sull’Africa, e allo stesso tempo, la ragione dell’evanescenza del peso occidentale sul continente nero, e a livello globale.

CRISI GLOBALE PER IL COVID-19
Il rallentamento dell’economia globale causa Covid-19, però, apre nuovi scenari nei rapporti tra la Cina e l’Africa, ma anche tra Unione Europea e Africa.

Come tutte i paesi industrializzati, anche Pechino ha ridotto sensibilmente gli acquisti di materie prime e di petrolio, con gravi ripercussioni sulle economie africane meno diversificate.

La minaccia terroristica e gli scontri armati in molte aree di crisi in cui si concentrano installazioni cinesi, inoltre, hanno costretto il colosso asiatico a partecipare sempre più attivamente sia sul piano diplomatico, sia su quello strettamente militare per garantire la stabilità politica in Africa.

Guardando pero’ a ciò che ha prodotto la crisi Covid-19, emerge chiaramente la vulnerabilità del libero mercato. La prolungata sosta delle attività produttive, lo sconvolgimento del sistema assistenziale e previdenziale e, soprattutto, l’estrema dipendenza dalle catene di forniture globali e la produzione in emergenza sono tutti settori che ne sono usciti distrutti e, per molti versi, interamente da rivedere.

UNIONE EUROPEA E AFRICA
Quelli che sino ad oggi sono stati considerati rapporti di “buon vicinato” tra Unione europea e Africa, dovrebbe essere convogliati verso una maggiore integrazione a livello “regionale”, con minori dipendenze esterne dal mercato globale.

L’esperienza dell’Ue, dando precedenza alla costruzione di un mercato interno comune rispetto a catene di forniture globali, potrebbe essere d’ispirazione per entrambe le odierne Aree di Libero Scambio Continentale in divenire sia in Africa sia in Ue. Con un prioritario argomento da riesaminare: la libera circolazione dei popoli; pensando a cio che era l’Unione Europea prima e ciò che è divenuta dopo “Shengen” con l’avvento della generalizzata “cittadinanza U.E.”!